Come era facile prevedere, anche l’ ultimo summit dei leader dell’ Eurozona, il diciannovesimo, è servito a ben poco. All’ ingenuità, per non pensar peggio, della stampa italiana (“Monti ha vinto contro la Merkel”) ha risposto in meno di sette giorni la cruda realtà dei fatti: crollo delle borse, i tassi sui Bonos di nuovo al 7%, spread italiano in risalita.  I mercati hanno studiato i contenuti delle vaghe conclusioni del vertice di Bruxelles e compreso che 1) la ricapitalizzazione delle banche spagnole direttamente tramite fondo ESM, pensata per evitare di far aumentare il debito pubblico di Madrid, richiederà ancora molti mesi a motivo dell’ unificazione della vigilanza bancaria come pre-condizione. Non è poi sfuggita agli investitori istituzionali l’ immediata alzata di scudi su tale proposta da parte delle casse di risparmio tedesche; 2) se non interverrá pesantemente la BCE, non ci sono vie facili e indolori alla riduzione dei tassi d’ interesse sul debito pubblico italiano e spagnolo senza crescita e riforme per la competitività. Se a questo quadro aggiungiamo l’ aggravarsi della recessione e della disoccupazione a livello mondiale, paesi emergenti inclusi, si capisce bene il timore di chi nei prossimi mesi verrà chiamato a rinnovare decine di miliardi di titoli della periferia europea.

Ma i vertici non dovrebbero servire per coordinarsi? La cacofonia europea è diventata assordante: la Finlandia minaccia di uscire dall’ euro se non otterrà garanzie sui prestiti alla Spagna, gli spagnoli vogliono i soldi senza impegni formali sulla ristrutturazione delle banche, la stessa Merkel deve confrontarsi con le crescenti pressioni interne alla Germania di chi – come nella lettera aperta di due giorni fa e firmata da 160 economisti – non vuole impegnare i soldi dei contribuenti tedeschi per salvare la periferia spendacciona. È oramai palese come i meccanismi decisionali a livello europeo siano totalmente inadeguati a risolvere la crisi sempre più acuta e risulta in tal senso addirittura ridicolo che Cipro, paese in bancarotta e tentato dai soldi russi, abbia appena assunto la presidenza di turno della UE. Si riparlerà presto anche di default della Grecia e sembra perciò facile previsione scrivere che la situazione dovrà peggiorare ancora prima di poter (forse) migliorare.

Non manca più molto, a nostro avviso, per giungere a quello che vorremmo battezzare il “Pacioli-moment“, ovvero la presa di coscienza e accettazione da parte dei principali leader mondiali che l’ eccesso di debito trova la sua simmetrica corrispondenza nell’ eccesso di posizioni di credito e che, quindi, per interrompere un processo di deleveraging globale che sta distruggendo domanda aggregata e posti di lavoro e che rischia di durare decadi come in Giappone, i creditori dovranno – lo abbiamo scritto più volte – accettare perdite ingenti, consentendo così il “reset” del sistema. Frate Luca Pacioli introdusse nel lontano 1494 il concetto di partita doppia per la tenuta della contabilità aziendale, ovvero “il dare è sempre uguale all’ avere”. Questo assioma vale anche per l’ economia nel suo insieme: a livello globale, il totale di tutti i debiti è sempre uguale al totale di tutti i crediti. L’ essenza dell’ economia di natura capitalistica è l’ accumulo di capitale come premessa necessaria per la crescita di produttività e della specializzazione del lavoro: senza vaste proprietà agricole e macchinari, non avremmo il beneficio dei supermercati per alimentarci. L’ accumulo di capitale richiede a sua volta la ripartizione asimmetrica dei guadagni di produttività e questo, nel lungo periodo, implica in assenza di lungimiranti politiche redistributive che l’ offerta di beni e servizi deve finanziare la propria domanda, generando quindi eccesso di debito al consumo. Il principio della partita doppia mette a nudo questa semplice verità: ad un eccesso di produzione rispetto ai consumi interni della Germania (la bilancia commerciale), corrisponde giocoforza una bilancia dei pagamenti  – che per semplicità parifichiamo a quella commerciale – in passivo della periferia europea che consuma più di quello che produce. I produttori tedeschi generano la domanda per il loro eccesso di offerta, grazie ai finanziamenti delle Landesbanken a stati e istituti finanziari mediterranei: la Grecia comprava carri armati tedeschi con i soldi della Germania investiti in titoli di debito sovrano di Atene. Questa simbiosi creditore-debitore vale anche per Cina e USA: il cronico disavanzo di bilancia commerciale degli Stati Uniti, conseguenza dell’ indebitamento dei consumatori americani per comperare il made in China, trova il suo “gemello” nel finanziamento cinese dei Treasury americani. La somma delle partite attive di tutte le economie del mondo è sempre uguale alla somma delle partite passive, anche se singole posizioni (stati, imprese, istituti finanziari, cittadini) presentano eccesso di debito e altre di credito. Vale oggi come valeva nel 1494.

Se tre indizi fanno una prova, è forse non del tutto casuale che i sistemi capitalistici implodano per lo scoppio di bolle finanziarie ed eccesso di posizioni debitorie ogni 40 anni (circa): 1929, 1971, 2008 – Grande Depressione (fallimento del 40% delle banche e corsa agli sportelli, con conseguente crollo dei prestiti necessari a sostenere la domanda aggregata);  “default del dollaro” (eccesso di debito americano e annuncio di Nixon sull’ inconvertibilità del dollaro in oro); l’ attuale crisi finanziaria. Keynes capì già nel 1940 che le economie mondiali devono venir ribilanciate quando si creano nel tempo eccessivi squilibri tra posizioni di surplus e di deficit e propose la creazione di una moneta sovranazionale, il bancor, come strumento per evitare depressione e disoccupazione causate da tali squilibri. Gli americani, interessati all’ abnorme vantaggio di poter stampare dollari come valuta di riserva mondiale, bocciarono a Bretton Woods la proposta dell’ economista inglese.

Il riequilibrio tra debiti e crediti avviene sempre a spese dei creditori, essendo l’ alternativa della crescita generata da ulteriore indebitamento effimera quando non sia la conseguenza di investimenti altamente produttivi, e la deflazione insieme al deleveraging politicamente non fattibile (prima o poi cittadini e debitori scendono in piazza). Come avviene questo reset contabile? A mezzo di default (Argentina, Grecia e molti altri casi), remissione dei debiti (ricorrente nella storia, dalla Mesopotamia in poi), imposta straordinaria sul patrimonio dei creditori, riduzione del valore dei crediti tramite inflazione. Il default – per il caos che comporta – è sostenibile dal sistema mondo solo se limitato a poche e piccole aree economiche, il contrario dell’ attuale crisi nata dall’ eccesso di debito dei cittadini americani, inglesi e spagnoli (solo per nominarne alcuni) e di importanti nazioni come USA, UK e buona parte dell’ Eurozona. La remissione dei debiti rimarrà probabilmente un sogno, mentre si calcola che bisognerebbe applicare una mega-patrimoniale del 11%-30%  (fonte: BCG) per ribilanciare crediti e debiti. Non rimane che la via preferita dai politici di tutto il mondo, quella di ridurre il valore reale del debito tramite aumento dei prezzi (inflazione) indotto dall’ espansione della base monetaria.

La politica monetaria espansiva non riesce però a far ripartire il motore della crescita (e dei prezzi), nonostante i trilioni di dollari ed euro immessi nel circuito bancario. Sorprende che i maghi della finanza delle banche centrali non spieghino ai leader politici che sempre Keynes parlava già allora di “trappola della liquidità”, ovvero dei soldi che circolano sempre meno e che quindi non stimolano domanda e produzione. Come è infatti pensabile di prestare ancora più denaro a consumatori e governi già pesantemente indebitati? Le disperate banche centrali hanno ora rispolverato le teorie economiche più radicali, dando il via a strumenti punitivi della liquidità – il cavallo portato vicino all’ acqua che non beve, può forse essere convinto da delle sonore frustate. Al taglio dei tassi d’ interesse della BCE hanno fatto eco alcune recenti notizie: la banca centrale danese ha portato in negativo (-0,2%) il tasso sui certificati di deposito; la Bank of England ha lanciato il programma “funding for lending”, ovvero “care banche vi dò i soldi solo se li prestate” (ci provò già il Giappone e non funzionò); il governo argentino ha imposto alle principali banche di prestare entro sei mesi il 5% dei depositi a tassi inferiori a quelli dell’ inflazione (ecco una geniale idea per Mario Monti!). La BCE ha poi comunicato in sordina alle banche europee che accetterà per i finanziamenti repo (le banche danno titoli in garanzia per ottenere nuovi soldi) anche titoli a fronte di prestiti a imprese e privati. A mali estremi, estremi rimedi: non è incredibile pensare all’ introduzione di un meccanismo pensato da alcuni economisti (ironia della sorte, uno dei primi fu il tedesco Silvio Gesell) per far aumentare la velocità di circolazione del denaro, la moneta a tempo, ovvero la diminuzione del valore nominale dei soldi con il passare del tempo.

In assenza di ristrutturazione del debito europeo o di nuovi piani Marshall intelligenti, ben venga allora l’ inflazione, male minore per evitare l’ implosione della moneta unica e “lost decades” dell’ Europa. Non sarà sufficiente a far tornare competitiva l’ Eurozona mediterranea ma rimetterà in moto il gioco del capitalismo, fino alla prossima crisi.