Il titolo della terza ed ultima delle tre opere italiane composte da Mozart su libretto dell’ insuperabile Lorenzo da Ponte ben si presta a descrivere la storica decisione presa negli ultimi mesi dell’ annus horribilis 2012. Così fan tutte, le banche centrali.

panoramixA Jackson Hole, nel Wyoming (USA), si riuniscono ogni anno i principali banchieri centrali del mondo insieme ad accademici ed economisti, per discutere di politica monetaria (e coordinarsi tra di loro senza allarmare i mercati). Questi moderni druidi – a nostro avviso, piuttosto degli apprendisti stregoni – fanno uso di un latinorum ipertecnico, come quello del manoscritto “Accommodation at the Zero Lower Bound” del professor Woodford, ritenuto ora la validazione teorica di un radicale cambiamento degli obiettivi e dell’ operare delle più importanti banche centrali. Come per tutti gli stregoni, la sostanza dei fatti – ancorchè ben mascherata da linguaggi, rituali e inscenamenti – è quasi sempre assai semplice. Ai disperati banchieri, incapaci di stimolare la crescita di domanda aggregata ed occupazione nonostante USD sei trilioni(!) di moneta stampata per tenere bassi i tassi di interesse, il professore ha spiegato che è inutile continuare con tali politiche, poichè il mondo si trova nel famoso circolo vizioso della “trappola della liquidità” già intuita da Keynes: l’ enorme massa monetaria immessa nel sistema non viene spesa per consumi o investimenti, bensì rimane parcheggiata sui conti delle banche centrali o viene utilizzata dalle banche commerciali per riparare i loro disastrati bilanci (basti qui ricordare la situazione delle banche italiane, che invece di dare credito alle imprese utilizzano i soldi prestati da Draghi allo 0,75% per acquistare BTP che rendono il 4%-5%). Se poi, come sta accadendo da più parti, i governi sono intenti ad aumentare le tasse per ridurre disavanzo di bilancio e ripagare il debito, è ovvio che si innesta una spirale recessiva che nemmeno i tassi nominali pari a zero riescono ad interrompere. Woodford ha poi ricordato a Bernanke e colleghi che si illudono (“wishful thinking”), se speravano di far ripartire le economie abbassando i tassi di interesse senza influenzare i meccanismi di allocazione del credito e senza impegnarsi esplicitamente a mantenere invariati i tassi anche quando torna la crescita. La soluzione proposta dal professore americano è quella di far annunciare e perseguire alle banche centrali un obiettivo di crescita NOMINALE del PIL. Novantasette pagine di manoscritto per arrivare ad una conclusione banale: se l’ economia reale decresce, per esempio per il continuare di deleveraging e di politiche fiscali restrittive, le banche centrali devono far crescere i prezzi, la cara vecchia inflazione. Basti qui ricordare la “magia” della formula matematica: 15 anni di inflazione al 5% e il prodotto interno lordo raddoppia (e quindi il peso del debito pubblico si dimezza), contribuendo così ad un massiccio ribilanciamento delle posizioni tra creditori e debitori.

Nei mesi successivi, una volta rientrati dal Wyoming, i druidi si sono messi solertemente al lavoro. La FED ha annunciato il raddoppio degli acquisti di titoli stampando moneta, finchè la disoccupazione americana non scenderà al 6,5%; il nuovo governatore della Bank of England ha esplicitamente dichiarato la sua simpatia per  l’ obiettivo della crescita nominale del PIL (nel frattempo, la perfida Albione sta monetittando un quarto del PIL)  ed il nuovo primo ministro giapponese chiede esplicitamente alla banca centrale di puntare ad un 2% di inflazione annua (da una situazione corrente di deflazione), altrimenti il governatore dovrà cercarsi un nuovo lavoro. È quasi divertente udire l’ assordante silenzio di tutti i fautori del libero mercato di fronte a questa fondamentale manipolazione dei tassi di interesse (ma non dovevano risultare dall’ incontro tra domanda e offerta di risparmi e investimenti?) e al ritorno della pianificazione centrale di stampo comunista (il PIL deve crescere ogni anno del 5%!). Dobbiamo confessare che di tutte le iniziative, quella di Bernanke-Panoramix ci pare la più rivoluzionaria ed aggressiva. Ci sembra quasi di poter leggere quello che dentro di sè starà pensando: “cialtroni di politici, incapaci di mettervi d’ accordo e di dare stimoli e incentivi al sistema per togliere la gente dalla miseria e dalla strada, ora vi faccio vedere io: stamperò banconote ad infinitum, finchè non vi deciderete a far circolare i soldi. Consigliate ai ricchi di costruire case e alle imprese di investire, così si creano posti di lavoro, prima che io distrugga tutta la ricchezza nominale ferma nei conti correnti.” Amen. La svalutazione del dollaro e dello yen non dovrebbero quindi sorprendere nessuno, nemmeno madame Lagarde del FMI, che giulivamente si dichiara preoccupata per il ritorno della guerra tra le monete. Attendiamo ora le contromosse della BCE, al più tardi quando politici e industriali si lamenteranno di un euro troppo forte che aggraverà ulteriormente le sofferenze di Eurolandia.

GDP mondiale in declinoIllustrato lo scenario macroeconomico internazionale, intendiamo ora focalizzare la nostra attenzione sull’ Europa e più specificatamente sull’ Italia. Tralasciamo di commentare il rumore della solita bagarre nostrana pre elettorale, tra arzilli e battaglieri vecchietti, deludenti professori, comici che pensano di camminare sulle acque e bolliti della Prima Repubblica. Ci pare di cogliere tre segnali in grado di anticipare i temi fondamentali dei prossimi 24 mesi. 1) Il nuovo governo non avrà la maggioranza al Senato e sarà quindi obbligato a trovare dei compromessi su austerità, Europa e riforme; probabilmente non durerà in carica per l’ intero mandato. 2) Recessione e disoccupazione si aggraveranno, facendo escalare le tensioni all’ interno del paese fino a pericolosi punti di rottura. 3) Il coro delle voci anti-euro, per tornare alla possibilità  ora preclusa di stampare moneta, rimbomberà tra le mura di Francoforte e Berlino. La plausibilità della prima previsione, ovvero del compromesso e della diluizione parlamentare, è confermata da tutti i giornali e analisti politici. L’ unica differenza la farà l’ alleanza che Bersani sarà costretto a sigillare, perchè un fallimento della Lista Monti (se si dovesse fermare per esempio al di sotto del 10%) ed una coalizione berlusconiana ben oltre il 20% (senza considerare il sicuro exploit del M5S) avrebbero delle conseguenze diverse sulla stabilità del governo e sul programma economico e di riforme. “Tra pochi mesi la ripresa, 
non sprechiamo la fiducia ottenuta”, aveva annunciato Monti a Cernobbio. Sono passati quei mesi e – in ritardo rispetto ad OCSE e BCE – ora anche il governo italiano, per bocca del sottosegretario all’ economia, riconosce che invece di un tasso di crescita nel 2013 dello 0,2%, si rischia di arrivare a meno 1. Tra quattro mesi non ci sarà “più un euro” per la cassa integrazione ed un’ ulteriore manovra correttiva (definita “bestiale” da Tremonti) sarà ineludibile. Bersani e Fassina si sono pubblicamente impegnati a rispettare gli accordi europei di pareggio di bilancio e del fiscal compact, ma forse non hanno fatto bene i conti.  Di quanto crolleranno ancora consumi delle famiglie, investimenti ed entrate fiscali? Cosa farà la gente senza lavoro nelle piazze? Un’ Italia in caduta verticale vedrebbe risalire lo spread e a quel punto il commissariamento europeo come contropartita dell’ acquisto di titoli pubblici da parte di Draghi sarebbe inevitabile.  A pensare positivo, la Trojka imporrebbe a quel punto all’ Italia le riforme che nemmeno Monti è stato capace di attuare, per far tornare occupazione, crescita e rendere più competitivo il Paese. Dubitiamo assai della lungimiranza della Trojka (vedasi Grecia) e siffatte aspettative, tipiche della cultura protestante della Germania e perfettamente rappresentate dal cancelliere tedesco originario della DDR, verrano deluse dal Paese delle mafie e dei tanti, troppi gattopardi.

il-tramonto-dell-euro-libro-1Ogni sistema sottoposto a pressione estrema necessita e quindi trova una valvola di sfogo, anche a costo della rottura del sistema stesso. I disastrati paesi dell’ Europa “latina” (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia), sottoposti alla tremenda pressione di recessione, disoccupazione, nuove tasse, obblighi del fiscal compact (ovvero riduzione dello stock del debito) ed euro troppo forte rispetto al dollaro, saranno costretti, se la Germania non si deciderà a fare importanti concessioni, ad uscire insieme dall’ euro – il LatinExit. Alberto Bagnai, professore di politica economica all’ università di Pescara ha scritto un tomo di 300 pagine dal titolo “Il tramonto dell’ euro” e sta girando le piazze a spiegare perchè l’ Italia dovrebbe abbandonare la moneta unica. L’ analisi storico-economica è precisa e a volte illuminante (ad esempio, il lucidissimo discorso in parlamento di Giorgio Napolitano nel 1978 sui rischi del sistema di cambi semi-fissi dello SME, precursore dell’ euro), le conclusioni su necessità di un’ uscita dall’ euro sono motivate, anche se – a nostro avviso – con alcuni importanti distinguo: l’ Italia non avrebbe bisogno di uscire dalla moneta unica se l’ Europa optasse per politiche fiscali-monetarie più accomodanti, in grado di interrompere la spirale deflattivo-recessiva (tramite Eurobonds, Piano Marshall per gli investimenti, rinegoziazione del fiscal compact, Piano Brady per ridurre l’ eccesso di debito, ecc.) e/o se l’ economia mondiale, rigonfiata dalle bolle di liquidità delle banche centrali, ci trascinasse fuori dai guai; l’ Italia potrebbe evitare l’ uscita dall’ euro (opzione rischiosa e comunque non necessaria se si riacquista parziale sovranità monetaria) attraverso l’ emissione di una propria moneta parallela (tema che svilupperemo nei prossimi post); un’ eventuale uscita dall’ euro dovrebbe avvenire come “gioco di squadra” dei Paesi Latini (nella nostra definizione di cui sopra), perchè altrimenti le banche francesi fallirebbero e troppo importanti sono gli intrecci economico-finanziari tra Italia e Francia. Riteniamo poi più probabile che sia il governo francese e non quello italiano, sempre troppo supino nel passato, a prendere l’ iniziativa di una feroce negoziazione con i tedeschi e – extrema ratio – di un eventuale Latinexit.

Chi parla in Italia, oltre a Bagnai, di un’ uscita dall’ euro? Beppe Grillo, senza sapere esattamente perchè, Berlusconi, per convenienza politica e perchè imbeccato da Brunetta, sempre più imprenditori disperati perchè lasciati senza credito dalle banche. Il più “pericoloso” però, perchè altrettanto lucido come Bagnai nell’ analisi della situazione e determinato nelle affermazioni pubbliche, è l’ ex ministro del Tesoro. Tremonti e EuroGiulio Tremonti, in una serie di comparse a Servizio Pubblico di Santoro, ha delineato i rischi derivanti dalla rigidità, tipica dei creditori, della Germania e del serio pericolo che Frau Merkel trascini tutta l’ europa in una nuova catastrofe, dopo quella della seconda guerra mondiale. Ancora più significativa è stata l’ affermazione – forse scappatagli – di aver paventato ai partner europei nell’ estate del 2011, con lo spread alle stelle, l’ ipotesi di un’ uscita unilaterale dall’ euro, fatto confermato anche da Paolo Savona – e poi ci sorprendiamo del detronamento di Berlusconi…

Nel solo dopoguerra, ben settanta paesi hanno abbandonato unioni monetarie, senza particolari shock macroeconomici. Nemmeno l’ Unione Monetaria Latina (come fu ironicamente chiamata dalla stampa britannica) del 1865, in realtà un mero coordinamento valutario, riuscì ad affermarsi. Se ci fosse anche nell’ Eurozona un break-up, questo accadrebbe come sempre in segreto e nell’ arco di un fine settimana – tra l’ altro, i crescenti obblighi per gli italiani della tracciabilità elettronica dei pagamenti favorirebbero il processo di redominazione valutaria. L’ Italia trarrebbe importanti benefici da un’ uscita dall’ euro? Il problema italiano non è l’ export, che rimane competitivo, bensì l’ impossibilità di battere moneta ed allentare quindi la morsa della politica fiscale recessiva. I potenziali benefici di un ritorno alla lira dipendono dall’ uso che lo Stato farà della riconquistata sovranità monetaria e da come saranno distribuiti i soldi. Se il Paese tornasse alle politiche clientelari pre-euro, i benefici sarebbero solo di breve termine e le pressioni riformatrici derivanti dal vincolo esterno scomparirebbero. La chiamata definitiva spetterà alla Germania, come già più volte analizzato in questo blog. Imprenditori e banchieri tedeschi hanno da tempo preparato il loro piano B, molto dettagliato come nella miglior tradizione germanica (compreso il rimpatrio delle riserve auree depositate all’ estero). Il nostro articolo di fantaeconomia del settembre 2011 forse si dimostrerà non così lontano dalla realtà.

Sono sicuro che l’euro ci costringerà a introdurre un nuovo insieme di strumenti di politica economica. Proporli adesso è politicamente impossibile. Ma un bel giorno ci sarà una crisi e si creeranno i nuovi strumenti.

Romano Prodi, Presidente della Commissione Europea – 4 febbraio 2001