“Seconda stella a destra questo è il cammino…”, comincia così la famosa canzone di Edoardo Bennato, L’isola che non c’è. La penisola italiana che non esiste non è quella senza “ladri e gendarmi” idealizzata dal cantautore napoletano; ne basterebbe una con meno ladri e meno crescente Stato di gendarmeria. Povera Italia, ostaggio di manigoldi muniti di pistola (le mafie) e di giacca e cravatta (tutti gli altri), le cui scorribande hanno spolpato ricchezza, ambiente e senso civico, e divenuta – per compensare tali sconquassi – asfissiante nei confronti dei cittadini: redditometro, inversione dell’ onere della prova nei confronti con l’ amministrazione fiscale e presunzione di colpevolezza come regola base. «Non c’è un solo euro, hanno rubato tutto», denuncia Franco Battiato, neo-assessore al turismo della Regione Sicilia. La Penisola che non c’è è quella raccontata da Beppe Grillo nei suoi comizi dello Tsunami Tour, nome azzeccato perchè solo un’ onda di tale portata potrà fare pulizia. A Torino e Milano piazze gremite all’ inverosimile per i proclami dell’ ex-comico che danno voce al pensare e sentire di tante, tantissime persone che vorrebbero un’ Italia diversa. Il successo del M5S sarà la versa sorpresa di queste elezioni, anche se molti si chiedono cosa potranno fare concretamente cento parlamentari all’ opposizione, muniti di buon senso (si spera) e webcams.
La vera questione rimane a nostro avviso se l’ Italia sia pronta al cambiamento grassroots, ovvero dal basso, con milioni di cittadini non più disposti a tollerare lo scempio quotidiano nei loro comuni di residenza (qualcuno sta andando sotto la finestra di casa degli ex amministratori di Parma, che hanno lasciato un buco da quasi un miliardo?). S’ illude chi pensi che sistemi complessi come una nazione di 60 milioni di persone, con caste ed oligopoli non troppo dissimili da quelle dell’ India, possano mutare per imposizione dall’ alto, per quanto “illuminata“. La Penisola che non c’è dovrebbe essere abitata da una maggioranza di persone non più silenziose, che non si limitino a lamentarsi della spiaggia talmente sporca da non essere più godibile, ma prenda in mano un sacchetto e raccolga il pattume, cacciando chi continua a lasciare i mozziconi sulla sabbia. Benvenga allora il fenomeno Grillo, se servirà per cominciare a spezzare l’ egemonia culturale che ci ha ridotti a tale miseria economica ed intellettuale, nell’ indifferenza ed egoismo di troppe persone.
Se non ci salveremo da soli, chi salverà l’ Italia? Non la Germania, che difende con l’ egoismo e la ferocia del mercante Shylock i crediti che vuole ripagati in moneta buona; non l’ America, troppo occupata a risollevarsi (ce la farà: trilioni di nuovi dollari da Bernanke, spesa pubblica e salari minimi più alti da Obama, energia dal gas che costa meno della metà di quella europea) ed oramai focalizzata sul Pacifico per ritardare il surclassamento della Cina. L’ ultima copertina dell’ Economist pone la stessa domanda, “chi salverà l’ Italia?”, mostrando la solita torre di Pisa, che pende, pende e… molto verosimilmente questa sarà la volta buona che cade. Bisognerà pazientare a lungo e soffrire tantssimo, prima o poi – si spera – ci sarà un nuovo Rinascimento Italiano. Nel frattempo, la situazione è talmente pessima che perfino il Papa se ne va. Troppo difficile, la Chiesa come il Belpaese.
La Penisola che non c’è è quella descritta dall’ acuto giornalista tedesco del Financial Times Wolfgang Münchau, che in un’ intervista spiega in maniera impeccabile l’ origine della crisi e le way out per l’ Italia: rinegoziazione degli accordi con l’ Europa (minacciando l’ uscita dall’ euro), aumento della spesa pubblica per investimenti che creino lavoro, taglio delle tasse, riforme strutturali per spezzare questi maledetti oligopoli che fanno salire i prezzi e mantengono ingiustificate rendite di posizione. Chi ci segue dall’ inizio sa che proponiamo esattamente le stesse cose da quasi due anni, così come sempre un altro autorevole commentatore economico del FT, Martin Wolf, arriva addirittura a proporre il nostro modello di una Banca Centrale Europea che stampi trilioni di euro per distribuirli a pioggia sull’ Unione Monetaria devastata da disoccupazione e recessione, possibilmente per ricapitalizzare le banche commerciali, progetti di infrastruttura e riduzione dell’ imposizione fiscale. Se il settore privato non fa ripartire la domanda aggregata, che lo faccia lo Stato. La politica fiscale di cui hanno bisogno i popoli non è l’ austerità, che oltre alla beffa (il rapporto debito/PIL non scende, anzi sale) crea anche danni irreversibili (bellissime aziende costrette a chiudere, disoccupati che si danno fuoco nelle piazze pubbliche).
Se non altro, la politica monetaria, grazie a quel volpone di Draghi, anche in Europa è diventata accomodante – nonostante il gioco delle parti, ora sempre meno credibile, della ufficiale intransigenza teutonica. Tre le recenti notizie a supporto di tale tesi:
– La quarta banca olandese è stata frettolosamente nazionalizzata per evitarne il fallimento. Il governo dei tulipani esproprierà i bond, con perdita totale per i risparmiatori. Nel nuovo mondo della fanta-finanza, pure chi aveva comperato una assicurazione (CDS) contro il default probabilmente non potrà ottenere rimborso. Se così è, non si capisce allora perchè le famiglie indebitate fino al collo per il mutuo sulla prima casa non possano fare altrettanto default, senza venire perseguite dalle banche.
– L’ Irlanda ha convertito l’ enorme debito contratto per salvare le sue banche in bond con scadenza fino a 40 anni e a (basso) tasso fisso. La normale inflazione si “mangerà” quindi la metà, anche più, del debito. Perchè gli imprenditori irlandesi non dovrebbero chiedere simili condizioni sui debiti contratti dalle loro aziende?
– È oramai sicuro che la Grecia otterrà una ulteriore riduzione del debito, è solo questione di tempo.
I banchieri centrali di tutto il mondo stanno facendo il loro lavoro, per tenere a galla il sistema. È compito ora dei politici europei avviare politiche fiscali pro-crescita e pro-occupazione, altrimenti le economie si avviteranno ancor più su sè stesse, con deleteri rischi per la convivenza civile e per le sempre più fragili democrazie. I cittadini italiani sono chiamati a dare il loro contributo, scegliendo i leader per traghettarci verso la Penisola che non c’è. Purtroppo, non siamo fiduciosi per questa tornata elettorale – sono, per il momento, solo ancora canzonette.