Barroso

Non voltate le spalle all’ Europa, titola il Sole24ore per riassumere il discorso del Presidente Barroso sullo Stato dell’Unione 2013. “La cosa più importante in questo momento è favorire la crescita in modo da scongiurare il rischio di una ripresa senza occupazione. È per questo che dobbiamo rimuovere gli ostacoli che frenano il dinamismo dei cittadini e delle imprese, in modo da sfruttare appieno le potenzialità del mercato unico… Per questo stiamo spingendo per realizzare un mercato unico delle telecomunicazioni (…) Investiremo di più nell’innovazione e nella scienza e punteremo sulle competenze, l’istruzione e la formazione per sostenere i talenti (…) apriremo nuove opportunità commerciali, promuoveremo le nostre priorità in materia di cambiamento climatico… “.  Chiacchiere, niente altro che chiacchiere.  Agli eurocrati e a tutti coloro che paiono vivere in una Europa diversa, non quella con 26 milioni di disoccupati,  “imprese appese ad un filo” (Squinzi), banche con voragini – spesso fraudolente – nei bilanci e che non danno credito, debiti pubblici ancora su una traiettoria fuori controllo, ci pensa un articolo del Telegraph a fare una fotografia impietosa sul vero stato dell’ Unione, compresi i rischi derivanti ora anche dall’ aumento dei tassi di interesse in America, la svalutazione delle divise dei paesi emergenti ed il prezzo del petrolio già salito di $ 15 da giugno.

L’ Europa dei prossimi 5 anni si preannuncia inadeguata a risolvere la crisi  tanto quanto quella precedente e fortissimo è ora il rischio di accadimenti che potrebbero portare alla disintegrazione dell’ euro e al crollo di colonne portanti della casa comune, così faticosamente costruita nel continente in cui viviamo. Un fattore di rischio importante deriva dalla situazione italiana, che – al di là della solita instabilità politica, il cui danno maggiore deriva però dalla conseguente paralisi decisionale – quest’ anno vedrà di nuovo una decrescita del 2% ed il prossimo anno dovrà fare manovre straordinarie (e/o accettare l’ intervento della Trojka), ricapitalizzare le banche e preparare un taglio di 45 miliardi di debito pubblico nel 2015. Tutto ciò nel paradosso di un paese contribuente netto europeo ed emittente di extra-debito per partecipare ai fondi di salvataggio europei… Come faccia il nostro ministro delle finanze a vedere luce alla fine di tale tunnel, rimane un mistero non conoscibile come quello della Santissima Trinità. Nel post precedente abbiamo ipotizzato uno scenario di crescente sforamento dei parametri comunitari da parte dei PIIGS (e della Francia), fino a quando l’ opinione pubblica tedesca forzerà un serio dibattito in Germania sulla convenienza di rimanere nell’ Eurozona. Lo scenario alternativo di un’ uscita dell’ Italia dall’ euro comincia, piano piano, a riproporsi.

È di questa settimana la notizia di un nesso causale tra la caduta del governo Berlusconi nel 2011 e l’ apparente piano di fuoriuscita dalla moneta comunitaria da questi preparato e “minacciato” ai leader europei. Non ci pare una vera notizia, visto che in quei caldi mesi (spread a +574) anche la Germania aveva un piano d’ emergenza e l’ Italia non aveva alternative, in caso di non intervento della BCE, alla riconversione del debito in lire per poter continuare a finanziarsi a tassi accettabili. Ci interessa invece sottolineare come stia aumentando la visibilità delle proposte di alcuni docenti universitari che chiedono l’ uscita dall’ euro per porre rimedio allo schiantarsi dell’ economia italiana. Alberto Bagnai è quello più prominente, dopo la pubblicazione del libro Il Tramonto dell’ Euro (che commentammo già qui), il suo blog sempre più letto e le comparse televisive ora più frequenti e rinomate, come quella del 13 settembre a TgCom.  Europa kaputtSi aggiunge ora il libro “Europa kaputt” del professor Antonio Maria Rinaldi, presentato tre giorni fa alla Camera dei Deputati grazie al partito radicale, durante il convegno “L’ Europa alla resa dei conti“. Consigliamo vivamente l’ intera visione dei video del convegno, per chi volesse informarsi su un tema – l’ uscita dall’ euro – che ci accompagnerà in crescendo nei prossimi mesi, nonostante l’ attuale omertoso silenzio di stampa e politica. Tra i relatori lo stesso Bagnai, che lucidamente illustra la storia economica italiana prima e dopo l’ introduzione della moneta unica ed  un personaggio strepitoso come il giurista Giuseppe Guarino, che alla venerabile età di 91 anni narra con estrema chiarezza e passione la violazione dello scopo precipuo della Comunità Europea (articolo B dei trattati, ” L’Unione si prefigge l’ obiettivo di promuovere un progresso economico e sociale equilibrato e sostenibile”) a mezzo dell’ euro, dei parametri di Maastricht (ora fiscal compact) e dello statuto della BCE. Senza le leve della politica economica (leve fiscali e monetarie), come possono infatti gli Stati promuovere la crescita economica e l’ occupazione? Interessante anche l’ intervento di Paolo Savona, che ci segnala come le elite italiane presenti a Cernobbio non vogliano sentir parlare di questi temi. Anche questo un altro mistero, come facciano a non accorgersi che l’ aver tolto la leva monetaria agli Stati e contemporaneamente aver imposto un rigido corsetto alla politica fiscale abbiano causato il crollo della domanda interna, il fallimento di migliaia di imprese e quasi due milioni in più di disoccupati. A chi sogna l’ Unione Politica come soluzione alla crisi, risponde al convegno Giorgio  La Malfa, ricordando pragmaticamente che i tedeschi mai vorranno condividere soldi e benessere con gli inaffidabili italiani, così come questi non accetteranno mai le regole tedesche, inadatte ad un paese così diverso come la nostra penisola.  Chiudiamo questa sintesi del convegno citando la metafora usata dal docente della Cattolica Claudio Borghi Aquiini, ovvero di un’ Eurozona  come una trottola che comincia a traballare e qualcosa accadrà. Forse i tempi sono maturi per un partito anti-euro in Italia.

Hanno ragione i menzionati relatori, nell’ addossare all`euro la colpa del declino italiano e nel proporre l’ uscita dalla moneta unica come soluzione? La nostra opinione è più differenziata. Se da un lato è dimostrabile come il cambio lira-euro (e ancor prima l’ aggancio all’ ECU) sia stato svantaggioso  per il Belpaese,  con conseguente azzeramento del surplus di bilancia commerciale del passato (dovuto, non dimentichiamolo, alle svalutazioni competitive), è altresì inconfutabile che siamo riusciti in qualche modo a “digerirlo” e a trovare un nuovo equilibrio. Prima della crisi, il rapporto debito PIL era stabile da dieci anni, i tassi di interesse sul debito erano bassi (grazie all’ euro), l’ inflazione moderata (meglio per le famiglie), i conti dello Stato in positivo (avanzo primario), la disoccupazione tra le più basse e gli italiani erano più ricchi dei tedeschi (in totale) ed erano tra i meno indebitati al mondo. italy-exports-of-goods-and-services-percent-of-gdp-wb-dataL’ Italia era una nave sì lenta, ma stabile. La crisi ha distrutto questo equilibrio, così come nel resto delle nazioni sviluppate, creando recessione e disoccupazione. Come hanno reagito i maggiori paesi con sovranità fiscale e monetaria (USA, Giappone, UK) ? Hanno utilizzato le leve fiscali e monetarie, come insegnano tutti i manuali di economia: nel momento in cui famiglie ed imprese fanno deleveraging (ripagano i debiti), è compito dello Stato aumentare la spesa pubblica generando così deficit e della banca centrale stampare moneta per “re-inflazionare” l’ economia. Il motivo per cui oggi l’ euro non va più bene per l’ Italia, non è il rapporto di cambio con le altre principali valute, bensì l’ impossibilità di utilizzare la politica monetaria in maniera sovrana per ridare fiato all’ economia. Questo vincolo, congiuntamente agli obblighi di rispetto di parametri di bilancio che non hanno nessuna giustificazione scientifica e con l’ aggiunta di un clamoroso errore  (l’ aumento dell’ imposizione fiscale) dei burocrati europei e del loro braccio esecutivo Mario Monti, hanno fatto crollare la domanda interna, distrutto posti di lavoro e gettato l’ italia su una traiettoria-spirale di decrescita-debito-disoccupazione dalla quale risulta ora quasi impossibile (qualcuno crede ancora nei miracoli) uscirne. L’ euro non è di per sè troppo forte, come dimostrano anche la percentuale dell’ export sul PIL tornata ai valori pre-crisi (circa 29%) e più alta di quella pre-euro del 1996 (circa 25%) e la  bilancia commerciale in surplus nei confronti del dollaro e dello yen già nel 2009.

eurolira3Se l’ Italia deve riappropiarsi – in assenza di politiche europee accomodanti – delle leve di politica economica, vi è alternativa allo sforamento dei vincoli di bilancio e all’ uscita dall’ euro? Sul primo fronte riteniamo necessario “mandare al diavolo” i contabili rinchiusi nelle torri d’ avorio a Brussel, così come sta facendo la Francia con un deficit del 5% per quest’ anno e ne vedremo delle belle anche il prossimo. 
Consideriamo invece l’ uscita dall’ euro non necessaria e comunque rischiosa, in presenza di alternative.  Non vogliamo entrare nel merito dei pareri su quanto sarebbe la conseguente svalutazione della nuova lira rispetto all’ euro, il tasso d’ inflazione futuro, il costo dell’ energia importata, l’ impatto sui mercati finanziari per via del 35% di debito sovrano in mano estera e i debiti esteri in euro delle imprese italiane. Per ogni problema/pericolo si possono trovare nel tempo soluzioni negoziali ed un’ eventuale inflazione elevata, conseguenza di importante emissione monetaria per ripianare per esempio i buchi di bilancio di banche ed imprese, sarebbe tollerabile se servisse a far tornare occupazione e crescita. I rischi forti che vediamo sono  due: 1) la reazione della comunità internazionale di fronte ad un’ uscita unilaterale, soprattutto se causa di perdite per i paesi creditori; 2) il ritorno della possibilità di stampare moneta nelle stesse mani che da 30 anni stanno spolpando la prugna. Un’ Italia isolata dal resto del mondo e gestita da corrotti, incapaci e beneficiari di rendite di posizione, s’ incamminerebbe verso un declino di tipo argentino.  Ricordiamoci tutti dei festeggiamenti per la crescita del PIL nel paese di Evita Peron dopo lo sganciamento dal peg con il dollaro; dieci anni dopo, l’ Argentina è nuovamente sull’ orlo del fallimento, nonostante le ricchezze della sua terra ed una popolazione di soli 40 milioni di abitanti.  Mettere la stampante del denaro nelle mani sbagliate non risolve i problemi e non ammoderna il paese per far fronte alle sfide globali che già i nostri figli dovranno affrontare.

Quindi? La nostra proposta di emissione di EuroLira, moneta parallela e paritaria all’ euro, garantita da asset (es. le riserve auree) e con circolazione puramente elettronica, per finanziare un Piano Nazionale di Investimenti ad alta capacità di riassorbimento della disoccupazione e regolato nei criteri di distribuzione dei soldi, eliminerebbe i suddetti rischi. L’ Italia non uscirebbe dall’ euro e quindi non vi sarebbero tensioni con i partner;  la bontà dei criteri di allocazione delle risorse (è sicuramente la parte più difficile), metterebbe al riparo dal rischio del denaro “a pioggia” del passato; la circolazione elettronica – sul modello del Bitcoin – risolverebbe in partenza il problema dell’ evasione fiscale e del lavoro in nero, mali atavici italiani. Riportiamo qui la prima bozza che spiega come potrebbe funzionare in pratica l’ EuroLira.

Notiamo infine con soddisfazione l’ uscire allo scoperto dei primi economisti sul tema della moneta parallela. Ci piacerebbe veder nascere una fertile discussione per rendere sempre più coerente il progetto dell’ EuroLira, terza via tra austerità suicida e disintegrazione caotica dell’ euro.

Die macht mir mein Europa kaputt                                               – Helmut Kohl, 17.07.11