Brevi flash di notizie della settimana, prima di affrontare il tema principale di questo editoriale domenicale.

L’ Italia del governo tecnico si è ritrovata dove è sempre stata negli ultimi decenni: impelagata nella palude nauseabonda degli interessi di caste, castine e castone varie, dei soliti parlamentari, farmacisti, tassisti, sindacati, preti, imprenditori, banchieri e mille altri. Il cabarettista Crozza racconta di un paese “mafioso” nella testa della stragrande maggioranza dei cittadini. Come dargli torto, quando per esempio si legge di un alto prelato reo di bancarotta fraudolenta e intercettato al telefono intento a ordinare di bruciare la tenuta del vicino restio a vendergli dei terreni. Un paese marcio fino al midollo, probabilmente non più salvabile. Nel frattempo, un Berlusconi in agguato tira un’ unghiata al professor Monti, sempre più pesce fuor d’ acqua, ventilando elezioni anticipate a maggio. Perchè questo risveglio felino? Probabilmente sia un avvertimento al governo per via della discussione circa l’ asta delle frequenze televisive, sia un semplice calcolo politico: nonostante Monti, lo spread non scende e in primavera l’ Italia dovrà rinnovare più di € 140 miliardi di debito sovrano. Finito il lavoro “sporco” da far fare al professore bocconiano, un nuovo governo politico a maggio ci può stare.

Perchè non scende lo spread sul debito nostrano? Perchè ai mercati una manovrina italiana da 20 miliardi non interessa granchè, consapevoli anche del fatto che un’ Italia in recessione il prossimo anno dovrà fare ulteriori aggiustamenti di bilancio. I mercati (banche, assicurazioni, fondi pensione, ecc.) continuano a vendere BTP più in fretta che possono, per non rimanere prima o poi con il cerino in mano rischiando la tentazione italiana di un default. Ad alimentare le tensioni ha poi contribuito anche la Bundesbank, dopo aver dichiarato di essere disposta a finanziare la sua quota dei 200 miliardi da contribuire al FMI, soldi da utilizzare per aiutare principalmente Italia e Spagna, solo se anche i paesi non europei verseranno dei denari. Cina e America hanno  risposto con una pernacchia. Nel frattempo, Mario Draghi ha praticamente sospeso l’ acquisto dei titoli italiani nel mercato secondario, in attesa di vedere se la liquidità a tre anni garantita alle banche servirà a far comperare i BTP da queste . In sintesi, si sta giocando la partita di chi si tiene in pancia i buoni del tesoro italiani e tutti sono molto nervosi,  a partire dalla Francia che  – tra recessione imminente e rischio downgrade – come nei peggiori film con Alvaro Vitali, punta il dito contro l’ Inghilterra e grida alla maestrina delle agenzie di rating “prima di me devi declassare gli inglesi, più brutti e più sporchi di noi”. Un fulgido esempio di leadership europea.

Tutti si chiedono, ci chiediamo, che gioco stiano facendo i tedeschi, tra imposizione di politiche deflattive-recessive e blocco a massicci sostegni di politica monetaria. Chi ci legge, si sorprenderà forse dell’ analisi critica di seguito esposta. Anche nella “meravigliosa Germania”, nonostante rimanga una delle nazioni più civili, moralmente sane e pulite del mondo, non è tutto oro quel che luccica. Ci siamo presi la briga di analizzare le principali differenze tra Italia e Germania nei parametri economici, finanziari e di competitività, prima e dopo l’ introduzione dell’ euro. Lasciamo parlare i numeri, tratti dal database del FMI.

Prima dell’ introduzione dell’ euro, l’ Italia era la “Germania d’ Europa” (grazie anche alle svalutazioni competitive della lira), con un forte surplus commerciale con l’ estero; gli amici tedeschi erano da questo punto di vista “scarsini”. Sim sala bim, con l’ euro arriva il boom dell’ export tedesco, mentre quello italiano crolla.

Lo stesso dicasi per la bilancia dei pagamenti, che comprende tutti i flussi di capitale in entrata e in uscita, non solo quelli derivanti dal commercio estero. Risulta evidente come il tasso di conversione DM/EURO sia stato estremamente favorevole alla Germania, rispetto a tutti gli altri paesi europei. Ciampi, Amato e Prodi, evidentemente non avevano fatto bene i conti…

Solo un trucco monetario, quindi? Le realtà economiche non sono mai semplicistiche ed è raro trovare spiegazioni univoche. La Germania ha complementato il vantaggio competitivo “svalutativo” con delle (vere) riforme di mercato del lavoro – la famosa agenda 2010 del governo Schröder – e con riorganizzazioni produttive che le hanno consentito di abbassare il costo del lavoro per unità di prodotto. Dal 1999 ad oggi, in Germania i salari sono cresciuti pochissimo rispetto alla produttività (aumentata di molto), per cui il costo unitario del lavoro si è ridotto e la competitività è aumentata rispetto agli altri paesi. Il sistema industriale tedesco ha poi avuto la fortuna e l’ intelligenza di trovare un posizionamento specializzato nella produzione di macchinari e componenti di tecnologia innovativi, necessari alle fabbriche delle emergenti economie asiatiche, Cina in primis. La qualità e la bassa elasticità al prezzo dell’ high tech tedesco hanno consentito alla Germania di conquistare quote di mercato al di fuori dell’ Eurozona, nonostante l’ apprezzamento dell’ euro nei confronti del dollaro.

In sintesi, la Germania viene da una “splendida decade” di forte miglioramento dei principali indicatori economici e di competitività, grazie – soprattutto, ma non solo – al favorevole rapporto di conversione del DM in Euro.

                                             La crescita dell’ export è avvenuta – necessariamente – tramite il riciclaggio del surplus tedesco, a mezzo del sistema bancario, nei paesi che hanno perso competitività (Spagna, Italia, Irlanda, Grecia, Portogallo, Francia) e che hanno utilizzato i risparmi tedeschi per comperare beni e serivzi delle imprese germaniche. Solo svantaggi, quindi, per i PIIGS? Non proprio, questi ultimi hanno potuto finanziarsi per dieci anni a tassi reali molto bassi, hanno contenuto l’ inflazione rispetto al passato e i consumatori di molti paesi si sono costruiti casa e comperati BMW, che altrimenti non si sarebbero potuti permettere, a credito.

E ora? Quale è appunto il gioco dei tedeschi? Crediamo che le cure recessive e deflattive per i paesi debitori, insieme al blocco di interventi di politica monetaria risolutivi (il “big bazooka” della BCE), siano dettate anche dalla grande finanza tedesca, che non vuole trovarsi nazionalizzata dal governo di Berlino per dover essere salvata dalle enormi perdite su crediti che eventuali default, oltre a quello della Grecia, comporterebbero. Di qui la strategia di far implementare dai governi europei manovre economiche di rigore per farsi ripagare i debiti e comunque per avere il tempo necessario a smobilizzare le posizioni di bilancio e farle comperare se possibile dalle banche dei PIIGS e, in caso estremo anche se malvolentieri, dalla BCE. Nel contempo, i tassi reali negativi del Bund, conseguenza della fuga di capitali verso “safe heavens”, stanno generando un enorme vantaggio finanziario per il governo e rafforzando ulteriormente la posizione competitiva delle imprese tedesche.

Quanto durerà questo gioco e come finirà? Prima o poi qualcuno chiamerà, come nel poker, il bluff della Germania e allora si vedrà come verranno fatte sparire le perdite su crediti. Da fiat money a volkswagen money?