Nonostante l’ annuncio di questo giovedì, nessuno sa ancora se Draghi passerà alla storia per aver salvato l’euro. Sicuramente verrà invece ricordato per aver fatto trascorrere delle tranquille vacanze, con la sua frase di fine luglio, a cittadini e leader europei. Grazie Mario. Ci attendono ora mesi difficili, tra Grecia e Spagna senza soldi, bazooka monetario della BCE che rischia di rivelarsi una pistolina, centinaia di miliardi di titoli spagnoli e italiani da rinnovare, decisione della corte costituzionale tedesca, elezioni in Olanda, Italia e Germania. Per non eccedere in ottimismo aggiungiamo anche una possibile guerra America-Israele-Iran e niente mondiali di calcio per altri due anni.

La battaglia principale non si gioca nè in Grecia nè in Spagna, i tedeschi terranno entrambi a galla con il minor sforzo possibile e senza tirare fuori un soldo di tasca propria. La cinica Frau Merkel ha le elezioni tra un anno e non vuole rischi, di qui i benevoli sorrisi a Samaras ed il sostegno a Draghi. Le recenti e per alcuni sorprendenti esternazioni di solidarietà per il Sud-Europa della cancelliera si spiegano in realtà con il magistrale opportunismo e tatticismo politico di Angela, che così facendo toglie vento alle vele della SPD pro Eurobonds e pro solidarietà europea. La Merkel dimostrò già dopo Fukoshima questo suo talento bizantino, quando dichiarò nel giro di 24 ore che la Germania avrebbe abbandonato il nucleare (dopo averlo difeso), lasciando così di stucco e senza cavallo di battaglia elettorale il partito dei Verdi. Nel contempo, onde evitare malintesi, la cancelliera ha chiesto al suo ex-portaborse Weidmann ora a capo della Bundesbank di fare la faccia feroce e non rendere troppo facile la vita a Draghi e Monti, oltre a mantenere la giusta tensione sui mercati per approfittare il più a lungo possibile di tassi reali negativi per la Bundesrepublik – con un beneficio ad oggi stimato di € 70 miliardi – e di un euro debole.

La vera battaglia, decisiva per la sopravvivenza dell’ euro, è tra Italia e Germania. La ragnatela-trappola italiana, degna del paese inventore della finanza e del natale a Macchiavelli, è semplice ma impossibile da evitare per i tedeschi: far acquistare centinaia di miliardi di BTP alla Banca Centrale Europea, così bassi tassi d’ interesse e rinnovo automatico saranno garantiti per le prossime decadi e la Germania dovrà accettare la mutualizzazione di fatto dei debiti oppure abbandonare l’ euro. I giocatori italiani in campo paiono molto affiatati: Mario Monti dichiara (ascolta Frau Merkel, ascolta) di voler terminare il suo mandato e non ricandidarsi come premier; Berlusconi mette lo spauracchio di tornare in campo e fa quindi, nel gioco delle parti, da contraltare al ruolo della Bundesbank; Napolitano si prepara a sciogliere le camere con un pò di anticipo e a riconferire il mandato a Mario Monti, dopo aver ufficialmente preso atto dei risultati instabili delle elezioni (ritorno al frazionamento partitico del passato) e della necessaria “grande coalizione” destra-centro-sinistra («Il governo dell’Italia si fa in gran parte a Bruxelles con una attiva partecipazione italiana», Mario Monti a Cernobbio); Mario Draghi comprerà titoli pubblici italiani a iosa, mentre Monti continuerà a fare le finte riforme per tenere buoni i falchi tedeschi. La Germania mercantilista contro l’ Italia gattopardesca. I cittadini europei saranno i veri perdenti.

L’ annuncio di Draghi ha calmato i mercati e abbassato gli spread. SuperMario ha messo il bazooka sul tavolo con un delicato atto di bilanciamento degli interessi dei contendenti. La promessa di acquisti “illimitati” di Bonos e BTP, come Monti aveva chiesto; la non subordinarietà degli altri creditori rispetto alla BCE, come preteso dai banchieri; la sterilizzazione della massa monetaria (ovvero evitare l’ aumento del denaro in circolazione) e la condizionalità degli acquisti alla formale richiesta di aiuto degli Stati – con conseguente intervento di imposizione-controllo della Troika – per accontentare i tedeschi. È un bazooka con istruzioni d’ uso complicate e non ci sorprenderebbe vedere i mercati testare già nei prossimi mesi l’ efficacia dell’ arma da fuoco e l’ euforia iniziale dissolversi.

S’ illude chi crede che il ruolo di spazzini delle banche centrali, nei cui bilanci si fanno sparire migliaia di miliardi di crediti-debiti inesigibili, sarà sufficiente per risolvere la crisi economico-finanziaria più feroce dalla Grande Depressione in poi. Soprattutto in Europa, ancora schiava di rigidi schemi mentali e di estenuanti meccanismi decisionali inadatti a far emergere una linea d’ azione chiara, decisa e determinante, la falsa dottrina neoliberale, l’ incredibile ignoranza della storia economica dell’ ultimo secolo e l’ impossibilità di una leadership forte (negli acquitrini europei non ci riesce nemmeno la Germania), rischiano di condannarci a decadi di malaise giapponese o, peggio ancora, di stagflazione. Bisognerebbe obbligare i leader europei a leggere l’ economista Minsky, che già nel 1982 scriveva in “Can it – the Great Depression – happen again?” della necessità di un’ aggressiva politica monetaria espansiva in congiunzione con una politica fiscale volta alla crescita, per evitare il ripetersi del 1929. Minsky sottolineava anche l’ importanza della spesa per investimenti e per sviluppo delle risorse, evitando l’ errore di una politica keynesiana per rilanciare i consumi (proprio l’ errore che USA e UK stanno commettendo con gli attuali deficit di bilancio). Ergo, un nuovo Piano per la Ripresa Europea (il “Piano Marshall”). Così come servirebbe un Franklin Delano Roosvelt, capace di mandare al diavolo saccenti economisti, banchieri e politici che avevano fallito con le loro politiche ortodosse. Il Presidente americano decise nonostante l’ opposizione della maggioranza dei suoi consiglieri, con fantasia e intelligenza, e ridiede speranza al suo popolo  con il New Deal.  A Berlino, Parigi e Roma non si parla più di rilancio e crescita, mentre parvenze di profili di leader come Roosvelt non sono visibili nemmeno ad anni luce di distanza.

Non sorpende quindi che tutti gli indicatori dell’ Eurozona siano in peggioramento e a livello di guardia: disoccupazione 11,3% (con i numeri truccati…), giovani senza prospettive di lavoro, PIL Eurozona -0,5% e consumi al dettaglio -1,7% (dati Q2/2012 vs Q2/2011), freno alla spesa per investimenti delle imprese tedesche (-0,9% in Q2), inflazione, che mangia il potere di acquisto delle famiglie, in aumento (+2,6% stima 08/12). Questi valori medi nascondono le enormi divergenze tra paesi, mascherando per esempio la drammaticità della disoccupazione spagnola e il crollo in picchiata del PIL italiano. La moneta unica necessita di convergenze macroeconomiche ma le politiche di bilancio restrittive (tagli alla spesa e aumento di tasse e imposte) stanno invece accelerando le forze centrifughe. Cosa può fare l’ Italia in un contesto europeo di regole pro-cicliche (e quindi recessive), senza controllo della politica monetaria (niente risolutive svalutazioni competitive) e con una Germania che non farà sconti a nessuno? Dovremo innanzitutto incrociare le dita e sperare che lo spread cali in modo duraturo (almeno di 200 punti, come richiesto a gran voce dai politici nostrani), con ricaduta positiva sul costo del denaro per le imprese e senza incidenti di percorso che ci riporterebbero in uno scenario di “game over” dell’ Euro e della UE. Dopo di che dovremo votare tra sei mesi un nuovo parlamento, fatto di rappresentanti onesti e proattivi nell’ introdurre in Italia le famose riforme capaci di far tornare competitivo e prospero il paese.

Il vero nodo dei problemi italiani è di natura politica, non finanziaria. Il debito pubblico, anche se il terzo più grande al mondo, è gestibile – pure in un contesto di moneta unica. Bisogna però tornare alla crescita, quella reale (e quindi occupazionale), non quella effimera delle bolle immobiliari o dei consumi gonfiati dal credito. La crescita si è fermata da noi dieci anni fa perchè abbiamo perso competitività e perchè abbiamo accettato, la maggioranza dei cittadini, la difesa di interessi corporativi in parlamento. I tecnici possono formulare e proporre anche ottime leggi per sostanziali riforme, che però si arenano nelle paludi di Montecitorio. Quali sono le riforme “impressionanti” (suvvia, signora Merkel!) fatte dal governo Monti, a parte – ma non sono riforme per la competitività –  aumento dell’ età pensionabile e delle imposte? In parlamento non si riesce nemmeno a far passare il decreto sulle distanze minime delle slot maschine dalle scuole… Per chi avesse la memoria corta segnaliamo l’ articolo di Marco Travaglio, che sarà pure a volte un insopportabile grillo parlante, ma ha il merito della precisione e della memoria storica. Oppure il commento dell’ imprenditore Riccardo Illy a proposito della riforma Fornero del mercato del lavoro e di un’ Italia che sta “scivolando verso l’ Africa”. Perchè l’ inflazione (non da crescita salariale) italiana è ora al 3,6% mentre in Germania è solo al 2,4%, non dovrebbe essere il contrario? La differenza è che nell’ Italia degli oligopoli, delle corporazioni e dei capitani d’ industria straccioni amici delle fondazioni bancarie si possono aumentare tariffe e prezzi senza timore della concorrenza (che non c’è). Un esempio per tutti: tre anni fa la Lufthansa faceva pagare circa € 300 per le tratte Monaco-Milano e Monaco-Torino. Ora non si trovano biglietti sotto i € 500. E l’ Alitalia? Azienda oramai fallita, che non vola più in Germania. Andiamo a rileggere la storia dei vari furbetti che hanno spolpato e distrutto la compagnia di bandiera. Senza azzeramento del Parlamento italiano non ce la faremo mai e prima o poi i populisti avranno il sopravvento.

Che fare, quindi? Escludendo l’ ipotesi di un improvviso rinsavimento macroeconomico dei leader europei (Nuovo Piano Marshall) e ritenendo improbabile lo scenario di parziale default italiano o di reintroduzione della lira, esiste a nostro avviso un modello sperimentale per evitare un destino di povertà crescente, che il governo italiano potrebbe portare avanti senza bisogno dell’ Europa e senza rivoluzioni politico-sociali (i sitemi complessi si cambiano lentamente e gradualmente). Vorremmo proporre la creazione di una prima Zona Franca giuridico-economica all’ interno dell’ Italia, simile ad una provincia o regione a statuto autonomo. In tale zona entrerebbero in vigore leggi speciali funzionali ad attrarre investimenti (dall’ estero ma non solo) per creare imprese ed occupazione, garantendo in cambio 1) detassazione degli oneri contributivi sui salari; 2) autonomia impresa-lavoratore nella negoziazione contrattuale, all’ interno – ovviamente – di un perimetro giuridico di tutela fair per il lavoratore; 3) Procedura accelerata, obbligatoria e basata su silenzio-assenso per tutte le pratiche burocratiche-amministrative, di competenza di un organo decisionale centralizzato, con partecipazione di advisor internazionali indipendenti e con membri a rotazione (così si elimina l’ impatto di corruzione e infiltrazioni mafiose nelle giunte comunali); 4) assoggettamento di tutte le cause civili (probabilmente per quelle penali non sarà possibile) ad un tribunale di diritto internazionale o europeo, di comprovata efficienza e fairness (così risolviamo una volta per tutte il problema della giustizia italiana lentissima e di parte). Il governo dovrebbe poi anche garantire a mezzo di forze militari (altrimenti a cosa servono?) sicurezza e incolumità di persone e investimenti in Zone Franche all’ interno di regioni controllate dalla criminalità organizzata. Siamo profondamenti convinti dell’ enorme potenziale dell’ Italia e degli italiani (abbiamo cervelli fini, nasi imprenditoriali e braccia esperte) di poter attirare centinaia di miliardi di investimenti (i soldi, come sappiamo, non mancano in giro per il mondo) per rilanciare economia ed occupazione. Ma non possiamo chiedere denari per un paese corrotto, mafioso, irrispettoso delle leggi, stritolato dalla lotta tra bande di affaristi e magari con il presidente del tribunale che è amico d’ infanzia dell’ imputato (per non menzionare casi peggiori). Una Zona Franca con regole trasparenti, basate sui migliori benchmark internazionali (se no a cosa servono i professori?) e con incentivi intelligenti (non l’ energia a prezzi di dumping) vedrebbe potenziali investitori fare la fila per ottenere l’ opportunità di scappare dalla trappola dei soldi parcheggiati presso le banche centrali o investiti in bonds a tasso reale negativo. Solo gli esperimenti fanno progredire le scienze, comprese quelle economiche. Non vi sarebbe nulla da perdere (investitori e lavoratori deciderebbero liberamente se partecipare al progetto) e se dovesse funzionare si darebbe la stura ad un processo virtuoso con sindaci e governatori onesti che farebbero richiesta per avere Zone Franche nei territori da loro gestiti. Chi pensa che la nostra proposta sia di stampo neoliberale si sbaglia. Il modello che abbiamo in mente lascerebbe piena libertà alle parti contrattuali (voteranno con i loro piedi, come dicono gli inglesi), ma all’ interno di regole del gioco ben definite e che tengano conto di eventuali esternalità negative, così da evitare nuovi casi come l’ Ilva in Puglia.

Una riforma per introdurre Zone Franche ci parrebbe ben più incisiva del “Desk italia” per “aiutare gli investitori esteri a parlare con gli uffici di collocamento nostrani” (sic!)  o l’ obbligo del Bancomat per acquisti superiori a € 50 (buona fortuna il prossimo anno ai commercianti italiani con le vendite agli stranieri). Se non possiamo – in tempi brevi – togliere la sedia istituzionale alle cariatidi politiche e corporative, cominciamo con il sottrarre pezzi di Italia dalle loro grinfie e brame.

non si possono pretendere idee nuove da una classe dirigente come questa, la stessa che ha alimentato il declino di questo Paese negli ultimi vent’anni (anonimo imprenditore, Cernobbio 2012)