Riportiamo alcuni stralci dell’ intervista de La Stampa con Vittorio Messori, giornalista e scrittore, autore di best-seller sulla fede e intervistatore di Papi.

Il Paese va a picco, la crisi attanaglia l’Europa e noi abbiamo pagine di giornali con le intercettazioni sui trastulli del premier. Che cosa ne pensa?
«Quando frequentavo Scienze Politiche all’università di Torino, Bobbio, Galante Garrone e Firpo mi insegnarono che bisognava sfatare un mito dannoso per il Paese: quello secondo cui chiunque abbia avuto successo nella vita può fare il politico, anzi lo statista, perché se ha fatto bene gli affari suoi saprà fare bene anche quelli di tutti. Quei maestri mi spiegavano, invece, che la politica è una professione tra le più ardue, ci vuole una vocazione…».

Applicando il principio a Berlusconi che cosa si ottiene?
«Il risultato negativo di quel mito è sotto gli occhi di tutti. Berlusconi lascia rovine gravissime sul piano istituzionale. L’elettorato moderato vuole vivere la propria vita senza intralci e senza militanze. Vuole che i servizi funzionino senza essere rapinato con troppe tasse. Il Cavaliere ha fatto l’opposto. Al di là dei torti e delle ragioni, al di là dell’eccesso di intercettazioni – centomila per un’inchiesta sono davvero troppe – viviamo in uno stato di rissa perenne. Nonostante vi siano oggettivi pregiudizi contro Berlusconi in alcuni media, bisogna dire che l’immagine dell’Italia berlusconiana all’estero è quella di una repubblica delle banane».

Come reagisce un cattolico a questo stillicidio di rivelazioni piccanti?
«Non mi piace fare il moralista ma il realismo mi fa dire che ci vorrebbe almeno un pizzico di ipocrisia, quell’ipocrisia che rappresenta l’ultimo omaggio del vizio alla virtù. I gesuiti del Seicento, precettori dei principi, insegnavano: nisi caste, tamen caute. Se non puoi essere casto, almeno sii prudente. Invece Berlusconi rivendica il suo stile di vita, affermando che nessuno ha il diritto di farglielo cambiare. Qualcuno dovrebbe spiegargli che ad ogni onore corrisponde un onere. E l’onere dell’uomo delle istituzioni è quello di rendere omaggio alla virtù».

Non crede che queste cose siano sempre avvenute?
«Nella vecchia Dc c’erano ministri omosessuali, ma ci stavano attenti. Non giudico la vita privata del cittadino Berlusconi, ma la vita privata così esibita del Presidente del Consiglio, che rappresenta pur sempre uno dei sette grandi Paesi del mondo e certe cose non dovrebbe permettersele. E poi, nella Prima Repubblica alle amanti si comprava una boutique, non si imponevano nelle liste elettorali o nelle istituzioni».

«Vorrei sperare in un premier “normale”, sobrio e capace di fare buone leggi, dedicandosi al governo del Paese invece che ai suoi processi».