Continuano, nelle calure di agosto, le battaglie in Europa per decidere su chi debba pagare il conto dei debiti accumulati nelle ultime decadi. Dal dibattito italiano arrivano praticamente ogni giorno, con la tipica educazione delle elite politiche nostrane, proposte sempre diverse: aumento IVA, contributo di solidarietà, patrimoniale, ritassazione dello scudo fiscale, cessione degli immobili di Stato e altre ancora. Subito dopo l’ annuncio di una nuova idea di prelievo, si alza lo starnazzo delle categorie che si ritengono più a rischio di dover pagare qualcosa: “no, io no”. I calciatori che pretendono di dover comunque ricevere sempre lo stesso stipendio netto, la Chiesa che non paga l’ ICI su alberghi e ristoranti di proprietà, fino al più silenzioso fuggi fuggi di capitali verso la Svizzera. Nel frattempo, la flemma del cancelliere Angela Merkel nasconde l’ acceso dibattito all’ interno del parlamento tedesco, su quale sia il modo più intelligente per evitare che, una volta salvato l’ euro, il “ClubMed” riprenda a spendere e spandere al di sopra dei propri mezzi. Il teatrino europeo si conclude poi regolarmente con il presidente Sarkozy che da ombra a Frau Merkel, sperando che i mercati finanziari non puntino troppo i riflettori sui terribili numeri della Francia (deficit e disavanzo commerciale) e con i “niet” al salvataggio di Grecia & Co posti da paesi piccoli come la Slovacchia o la Finlandia, che negozia separatamente delle garanzie con il governo di Atene.
Se saremo fortunati, ad un certo punto questo grande bazar finirà e il livello dei debiti pubblici sarà riportato entro ambiti più coerenti con le capacità economiche e finanziarie dei singoli paesi. Dipenderà poi dall’ intelligenza dei leader e dal potere negoziale delle categorie dei contribuenti, se la riduzione del debito avverrà per via redistributiva (tassazione dei patrimoni, cessioni e privatizzazioni di Stato) o deflattiva (riduzione di spesa, imposte sui ceti medi). In quest’ ultimo caso, calo dei consumi e recessione saranno inevitabili.