La situazione economica del continente europeo, in evidente peggioramento, è il vero rischio di disintegrazione monetaria, politica e fors’anche sociale della UE. Mentre la bicicletta dell’ economia continua a rallentare fino a rischiare di rompere l’ equilibrio dinamico datole dalla velocità, per citare una azzeccata metafora di Paul Krugman, i governi – Italia in primis – stanno sprecando prezioso tempo. Produzione ed export tedeschi perdono colpi, ma Berlino è solo capace di tirare fuori 10 miliardi di investimenti pubblici per i prossimi tre anni, praticamente un’ elemosina per temperare le crescenti lamentele dal resto del mondo, mentre Angela Merkel si preoccupa di imporre una quota rosa del 30% alle grandi imprese. Parigi è praticamente bloccata dal terrore di prendere decisioni ed attuare riforme che abbiano l’ effetto di soffiare sulle vele spiegate di Marine le Pen verso l’ Eliseo, quindi se ne strafrega di Brussel e comunica ai partner europei che continuerà a sforare il tetto del deficit almeno fino al 2018. Madrid fa finta di credere alla favola delle riforme virtuose attuate, ma i crudi numeri, con la disoccupazione ferma al 24%, la deflazione e i sondaggi che vedono il nuovo partito di sinistra Podemos al 27%, raccontano una realtà diversa. In Grecia, 3 cittadini su 5 vivono in povertà e quanto a Roma, la crescita – unica alternativa alla ristrutturazione del debito e all’ uscita dall’ euro – non si ottiene certo dalla riforma dell’ articolo 18 o da una legge di stabilità che non dà risposte alla necessità di rilanciare pesantemente investimenti e consumi. Quindi, si governicchia, consapevoli che fintanto che la BCE tiene bassi i tassi sui debiti sovrani, si può tirare a campare e sperare nella misericordia dei futuri storici, quando scriveranno che la situazione era troppo complicata e nessuno poteva in realtá fare alcunchè per salvare l’ integrazione europea.
Questo tergiversare viene interrotto solo quando necessita agire d’ urgenza per evitare l’ incidente capace di far crollare l’ intera impalcatura. Si spiegano allora così la formazione di grandi coalizioni (oggi in Germania e – di fatto – anche in Italia, presto in Spagna e probabilmente pure in Francia) che blocchino sul nascere la presa del potere da parte dei movimenti nazionalisti o con agende anti-euro ed anti-Europa, e i salvataggi last-minute di governi e banche, come l’ esempio Grecia di un mese fa comprova. Merkel, Hollande, Renzi e Rajoy sanno anche che – seppur con motivazioni diverse – Mario Draghi li salverà sul bilico del burrone con un altro whatever it takes o similcosa. La versione più recente è il QE (quantitative easing), ovvero l’ acquisto di titoli pubblici e la corrispondente immissione di massa monetaria. È una scommessa razionale, quella che stanno facendo i governi europei? Parrebbe di sì, considerando che i leader e i loro seguaci fanno della politica la loro carriera, al contrario di chi persegue un proprio talento con visione e passione. Consapevoli che senza il controllo della leva monetaria e senza una solida maggioranza parlamentare ben poco si può fare, i governanti preferiscono non prendere il rischio di denunciare la nudità del re euro e della regina Europa – chi ci ha provato è stato immediatamente defenestrato – e sperano che prima o poi riparta l’ economia (“aspettando il Godot della domanda globale” – Martin Wolf ) e che la BCE tiri fuori le castagne dal fuoco in caso d’emergenza.
Ma occorre porre una seconda domanda: e se si sbagliassero? Cosa accadrebbe, se la situazione economica continuasse a peggiorare e il bazooka di Draghi non funzionasse come sperato? Cominciamo da quest’ ultimo punto. Al di là del solito teatrino delle parti tra il Presidente della BCE e quello della Bundesbank, questa settimana il Direttorio della Banca Centrale Europea ha annunciato la decisione di essere pronta – qualora gli indicatori economici peggiorassero – ad aumentare il proprio bilancio di 1.000 miliardi tramite l’ acquisto di titoli, soprattutto di debito pubblico. Più di un esperto dubita sull’ efficiacia di tale manovra, pure tardiva, nel rilanciare il credito a imprese e consumatori per far ripartire investimenti e domanda aggregata. I circuiti finanziari europei sono infatti assai differenti da quelli americani e non sono così diffusi nel Vecchio Continente i principali strumenti americani per risollevare i consumi tramite debito: rifinanziamento delle case, prestiti per l’ acquisto di auto e per gli acquisti a rate, prestiti agli studenti. Anche la speranza che il QE contribuisca al rilancio dell’ economia tramite un forte deprezzamento dell’ euro è, a nostro avviso, malriposta. In Giappone non funziona: nonostante una svalutazione dello yen del 40% in due anni nei confronti del dollaro, investimenti, consumi e bilancia commerciale non decollano e la banca centrale si trova ora costretta ad aumentare la gittata del bazooka, stampando ancora più moneta. Non servirà a molto e questo per gli stessi motivi che dovrebbero rendere più prudenti i fautori di un ritorno alla lira del Belpaese per il rilancio dell’ economia tramite le esportazioni: 1) le catene del valore sono oramai disseminate in diversi paesi e quindi una svalutazione del cambio non comporta più automaticamente un vantaggio di costo/prezzo verso i concorrenti esteri; 2) in mancanza di locomotive nel resto del mondo, esportare di più diventa arduo, anche abbassando i prezzi e comunque governi e imprese estere ad un certo punto reagiscono manovrando a loro volta il cambio e abbassando i prezzi – le tendenze deflattive diventano allora globali. In sintesi, una politica monetaria espansiva non può da sola risolvere le malattie croniche di molte economie avanzate: crescenti squilibri d’età nelle popolazioni, eccesso di risparmi non trasformati in investimenti, trappola della liquidità.
Torniamo quindi alla prima parte del quesito: cosa accadrà, se l’ economia dovesse continuare a peggiorare? Innanzitutto, la probabilità che ciò avvenga è data in aumento da quegli economisti che intravedono nella crisi attuale le crepe fondamentali dei sistemi economici di natura capitalista, più volte illustrate e commentate in questo blog. La sintesi è la previsione di una “stagnazione senza fine” (Krugman), aggravata da un trend apparentemente irreversibile e di portata immane sul modello organizzativo della società umana: la riduzione delle opportunità di lavoro, sostituito da robot e software. Dopo Bill Gates, anche il co-fondatore di google Larry Page lancia l’ allarme e annuncia la disoccupazione perenne. Al continuo rallentare della bicicletta, i governi possono opporre una crescente tassazione e redistribuzione della ricchezza, ma questo è sempre più difficile in un mondo ad alta mobilità di persone e capitali e pervaso da proposte di arbitraggio fiscale – Luxleak docet. Nemmeno i partiti di sinistra ci provano più e preferiscono adeguarsi alla chimera delle politiche dell’ offerta (supply side), disastrose quando il vero problema è l’ insufficienza di domanda aggregata. Oppure possono far stampare soldi alla BCE e distribuirli in modo intelligente, per un piano Marshall da canalizzare su investimenti strategici (energie rinnovabili, digitalizzazione, ecc.) e ad alto tasso di riassorbimento dell’ occupazione. A mali estremi, i governi possono distribuire i soldi freschi di stampa direttamente a cittadini e imprese, il famoso “helicopter drop“. Su quest’ ultimo fronte vanno segnalate le recenti autorevoli prese di posizione, da Foreign Affairs, vicina a Washigton, (“Print less but transfer more”) agli economisti di Oxford. Entrambe le soluzioni (piano Marhsall, helicopter drop), richiedono un gioco cooperativo tra paesi europei e un preciso mandato alla BCE, ma questo pare ad oggi non fattibile.
Esisterebbe una soluzione ideale – un uovo di Colombo – per l’ italia, che abbiamo ipotizzato già 18 mesi fa: l’ introduzione di una moneta parallela, l’ “Eurolira“, per rilanciare la domanda interna e creare occupazione. È di queste ultime settimane il “Manifesto per i Certificati di Credito Fiscale” (CCF), ovvero la proposta di una moneta statale parallela a circolazione interna, lanciata da Marco Cattaneo e ora promossa dall’ associazione Sylos Labini e introdotta nel circuito mediatico da Micromega. Il concetto è uguale a quello dell’ Eurolira, con due importanti differenze: i vantaggi della pura circolazione elettronica dell’ Eurolira (eliminazione di evasione fiscale e sommerso) ed il meccanismo da noi proposto per la distribuzione della nuova moneta. Infatti, dare soldi a cittadini e imprese rischia di far crescere l’ economia come nella provocazione keynesiana dei posti di lavoro creati per scavare e poi riempire le buche. Nell’ immediato sale il PIL, ma si tratta di una crescita effimera che poi si sgonfia. L’ unica solida alternativa è la distribuzione della nuova moneta per investimenti di natura strategica (per ammodernare il paese), con rendimenti duraturi (così si autoripagano) e con alto tasso di riassorbimento della disoccupazione. Ci piace comunque la proposta di dare magari una somma una tantum a disoccupati e pensionati, così come intelligente è l’idea di proporre la nuova moneta nella forma di buoni di sconto fiscale, per aggirare l’ esclusiva della BCE nell’ emissione di moneta per l’ Eurozona. Benvengano quindi i CCF, magari migliorati con alcune delle caratteristiche suggerite per l’ Eurolira. Saprà e vorrà Renzi cogliere la palla al balzo? Lo si vedrà. Voci di corridoio raccontano che il progetto fosse già sul tavolo degli esperti nel governo Letta e che Corrado Passera pensasse ai CCF quando parlava della necessità di rilanciare l’ economia italiana con almeno 200 miliardi di euro. Nessuno è mai uscito allo scoperto, vedremo se il Rottamatore avrà il coraggio e la visione per farlo.
Qualora nemmeno questa iniziativa autonoma e innovativa venisse intrapresa e la disoccupazione continuasse a salire, si arriverà prima o poi ad un punto di rottura e qualcuno chiamerà il bluff dell’ Eurozona. L’ Italia, se non ci sarà una nuova Bretton Woods coordinata, avrà allora solo due alternative: la ristrutturazione del debito o l’ abbandono della moneta unica. Potrebbe anche uscire la Germania dall’ euro, ma non farà grande differenza. Il giorno dopo, come nel film The Day After del 1983, ci ritroveremo a guardarci gli uni con gli altri come dopo l’ incidente nucleare, felici di essere sopravvissuti ma anche tristi perchè avremo raso al suolo molti dei nostri sogni e delle nostre costruzioni. Si ripartirà, non vi è dubbio, ma sorge spontaneo il timore su come ricostruire un paese i cui vizi non saranno cambiati per nulla, in un’ Italia ancora gestita dalle stesse persone che l’ hanno condotta al declino negli ultimi venti anni.
The crisis takes a much longer time coming than you think, and then it happens much faster than you would have thought.